Carissimi,
nell’ approssimarsi della Pasqua, sul Ponte, nella nostra Università della Calabria, celebriamo la via Crucis. È un appuntamento che, ormai, si ripete da quasi 25 anni. Passare tra i cubi con questo segno che richiama la passione di Gesù è molto bello. Sicuramente quando si vede la croce la si associa velocemente alla sofferenza. Certamente la croce racconta, in modo evidente, questo aspetto della vita che appartiene all’esperienza di tutti e, per molta gente, in modo scandalosamente drammatico. Ma su questo strumento di supplizio antichissimo non è scritta solo la sofferenza. Sarebbe di cattivo gusto mettersi sui passi di uno che viene torturato e innalzare lo strumento del suo tormento.
Seguire il Nazareno che si carica della croce vuol dire mettersi sui passi di uno che segue la sua passione, vive per la sua passione, e accetta qualsiasi ostacolo pur di andare avanti e morire per la sua passione. Gesù aveva nel cuore una passione incontenibile, che bruciava, che spingeva, che gli toglieva il sonno e la pace, che lo faceva andare dritto e determinato senza perdere tempo e senza lasciarsi rallentare da nulla; aveva una passione travolgente, piena di fascino e di trasporto, una passione che lo metteva continuamente per strada, in movimento, in cammino verso una destinazione che un po’ alla volta prende forma. Lui è proprio quel pastore che, avendo cento pecore, e persane una, la comincia a cercare con una dedizione, un amore tenero e tanto dolore fino a quando non riesce a trovarla.
Una delle prime immagini del cristianesimo che troviamo nelle catacombe è quella di un giovane pastore con una sola pecorella sulle spalle. La sua vita è stata tutta accesa da questo desiderio di trovare ciò che era perduto. Eppure agli occhi di molti non c’era questa urgenza e questa fatica appariva totalmente inutile e inopportuna. Ma Lui ha voluto sprecare tutta la sua vita per mettersi sulle tracce di un tesoro che molti non sapevano stimare.
Ci piace vedere passare questa passione per i cubi della nostra Università. E quanto sarebbe bello che infettasse tutti. Che contagiasse tutti, qualsiasi cosa facciano nell’ateneo, ma soprattutto i giovani e le giovani perché le loro fatiche non siano avvelenate dalla noia o dall’apatia. Possano essere sempre consapevoli che nelle loro fatiche quotidiane, sui libri e nei laboratori, stanno già preparando una nuova civiltà. La loro dedizione e la loro passione già lasciano intravedere l’alba di una nuova realtà. Possano i nostri giovani essere animati da un profondo amore verso il mondo che abiteranno, un amore senza misura, libero, generoso, volto verso chi rimane indietro, senza far pesare su nessuno i vantaggi e i privilegi che hanno ricevuto nella vita; senza far diventare il di più, che adesso possiedono, un’arma per servirsi degli altri, ma ostinandosi a fare di questo vantaggio un modo per rialzare chi è a terra e per risollevare chi è stanco e ha smesso di camminare.
Che la passione di Colui che ha avuto un così nobile scopo e un bersaglio così poco centrato possa accendere la passione di coloro che domani prenderanno le decisioni per altri. Perché sarà giunto il loro tempo.
Il Signore vi benedica.
p. Emanuele, p. Francesco e p. Amedeo

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