Carissimi,
in questi giorni, che ci stanno portando velocemente alla Pasqua, il pensiero corre spontaneamente a un testo di S. Paolo: «Non è bello che voi vi vantiate. Non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità» (1Cor 5,6-8).
L’apostolo fa riferimento a ciò che il popolo di Dio, per tradizione, faceva ogni anno quando si avvicinava la solennità della Pasqua. Toglievano e portavano via dalla casa tutto ciò che era lievitato e lo bruciavano. E per una settimana mangiavano pane azzimo, cioè senza lievito. Le nostre pulizie di pasqua probabilmente trovano in questa tradizione la loro origine. Non cercavano il pane, ma il lievito. Ora il lievito, quando è nella pasta, non si vede più. È nascosto. E per allontanare ogni dubbio si toglieva tutto ciò che poteva nasconderlo e tutto ciò che aveva avuto contatto con questa realtà che ha la particolare capacità di far crescere. Il lievito è ciò che sembra dare vita a una realtà inanimata. È ciò che fa alzare (levare).
Questa consuetudine può offrire anche a noi domande utili e forse urgenti. Cosa fa lievitare la nostra vita? Cosa la tiene viva? Qual è il lievito delle nostre corse, quello dei nostri progetti, delle nostre fatiche, del nostro lavoro, dei nostri viaggi, delle nostre relazioni, delle nostre iniziative? Non è di poco conto fermarsi e chiederci da che cosa siamo animati, cosa ci spinge, cosa ci fa crescere, che cosa ci fa alzare, che cosa ci fa stare in piedi. Che tipo di grandezza offre il lievito di cui è impastata la nostra vita?
Azzerare tutto e mangiare per una settimana pane azzimo è come un desiderio di ricominciare col piede giusto, riprendere aggiustando il tiro, ripartire con uno spirito diverso… è la volontà di cominciare daccapo con fiducia e con la speranza di fare cose nuove e diverse rispetto a quelle che siamo riusciti a fare fino ad ora.
È un invito a vedere cosa portiamo dentro, nel cuore. Un invito a non sottovalutare quello che si trova nascosto dentro di noi, quello che gli altri non vedono, quello che è inaccessibile, ma che condiziona tutto, ciò che dà l’intonazione a tutto. Ciò che è nascosto non può essere trascurato per troppo tempo. Ne vanno trovate le tracce e vanno valutate attentamente perché, come dice S. Paolo, «un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta». Un po’ di lievito può rovinare tutta la vita, qualcosa di piccolo e di nascosto può guastare tutta quanta la nostra storia.
Le scritture, e Gesù in modo insistente, ci invitano ad andare in profondità. Il vangelo ci spinge ad andare sempre verso il cuore perché quel che portiamo dentro condiziona molto ciò che facciamo e quel che tutti vedono in noi; le due realtà sono molto legate tra loro.
Questa tradizione antichissima ci porti a desiderare di fare spazio allo Spirito di Gesù, l’ultimo suo regalo prima di morire per amore sulla croce e il primo che ha voluto farci da Risorto. Il suo Spirito sia il lievito che anima la nostra vita, anche se povera. E il mondo vedrà dei figli di Dio. Buona Pasqua.
Il Signore vi benedica.
p. Emanuele, p. Francesco e p. Amedeo

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